Buongiorno Amici dei Libri!
Sono felicissima oggi di portarvi la tappa di un blogtour che, per me, ha un valore speciale. Se mi seguite sui social avrete sicuramente notato quanta attenzione ho deciso di porre su quest'opera e saprete certamente quanto mi stia a cuore.
Oggi abbiamo l'opportunità di chiacchierare con chi ha plasmato e creato questo lavoro: lasciatemi quindi ringraziare infinitamente Claudio Cicciarelli e Shockdom per questa splendida intervista.
E: Desidero iniziare questa intervista ringraziandoti per esserti prestato a questa collaborazione e, soprattutto, per aver dato vita ad un’opera con dei connotati unici: puoi raccontarci come è nata l’idea di realizzare un romanzo grafico che gira intorno a temi così delicati e, se vogliamo, sconosciuto ai più?
CC: Grazie a te per aver mostrato un così grande interesse per il mio progetto.
Veniamo alle risposte!
Ho sempre amato le arti grafiche e le rappresentazioni simboliche. Nella pratica privata mi capita spesso di utilizzare la metafora e la similitudine per mettere a fuoco le sofferenze dei miei pazienti. Un giorno, mentre stavo scrivendo un articolo divulgativo, sono incappato nelle illustrazioni di Toby Allen (un artista che rappresenta le patologie mentali come dei cartoni animati) e mi sono chiesto: cosa accadrebbe se fosse uno psicologo a dare una forma alle condizioni più debilitanti dell’animo umano?
E: Svolgendo la professione di psicologo immagino che ti sia imbattuto in innumerevoli casi, innumerevoli storie di altrettante persone. Ce ne è uno in particolare che ti è rimasto impresso e che porterai con te per sempre? Se è possibile, ce ne parli?
CC: Il caso che più porto nel cuore riguarda il periodo del mio internato universitario. Il mio paziente, diagnosticato autistico, lamentava di subire diversi disagi all’interno del domicilio, da parte dei suoi familiari. Data la condizione del soggetto e data la bizzarria di ciò che mi veniva riferito, la mia inesperienza mi portò a supporre che questi racconti fossero inventati.
Fu solo dopo aver messo piede nel suo domicilio e dopo aver interagito con i genitori che scoprii le terribili condizioni in cui era costretto a vivere e il labile stato mentale della madre, che sottoponeva il figlio a soprusi inenarrabili.
Dopo quell’esperienza, la mia consapevolezza della patologia e del “malato” è stata completamente rivoluzionata.
E: Vorrei parlare anche del tuo stile di scrittura, che ho trovato intenso, affascinante e, a tratti, certamente non semplicistico: quando e come hai iniziato a scrivere? Puoi citare qualche autore che ti ha fornito lo spunto o che ti abbia spronato in qualche modo ad intraprendere questa avventura?
CC: Il mio stile di scrittura è “inquinato” da tutti i manierismi, gli stilemi e le fissazioni dei miei scrittori preferiti. Il tutto, condito da una spruzzata di quel gergo psicologico che purtroppo mi accompagnerà per tutta la vita.
Nel mio libro troverai tantissimo Poe, Lovecraft, Dick, Sclavi e King.
E: Si dice che ogni scrittore abbia una propria storia da forte lettore: è così anche per te? Quali sono le letture che ti hanno maggiormente segnato nell’arco della tua vita?
CC: Questa domanda mi è stata posta durante un colloquio che ho sostenuto a diciannove anni per lavorare in libreria. Mi è costata il posto.
Durante quella domanda, e adesso, sono stato colto dallo stesso blocco che viene a un appassionato di cinema quando gli si chiede il film preferito.
Leggo libri da quando ne ho la facoltà, mi risulta davvero difficile fissare in mente uno o due titoli davvero fondamentali, senza tralasciare gli altri. Posso dirti che vado matto per la narrativa di genere in tutte le sue sfaccettature e il rapporto tra romanzi e saggi nella mia libreria è di almeno venti a uno.
Amo l’hard-sci fi di Asimov, Herbert e Dick, vado matto per le visioni crude di Vonneghut, celebro il fantasy moderno di Pullman e riesco a far convivere tutto con Dostoevskij e Kafka.
Devo proprio scegliere? Ok, prendo l’opera omnia di Roald Dahl.
E: Puoi raccontarci com’è avvenuto il processo di collaborazione con gli artisti che hanno trasposto su carta le tue parole, donando loro forma e colore? Hai contattato tu gli illustratori poiché già li conoscevi? Hai sentito la necessità di affiancare le illustrazioni per dare maggiore chiarezza a ciò che hai deciso di raccontare?
CC: La necessità di creare un romanzo illustrato scaturisce dal fatto… che vado matto per i romanzi illustrati!
L’intero libro è stato concepito, scritto e realizzato come un qualcosa che potesse piacermi, che potesse attirare l’attenzione di una persona come me, con le mie passioni e i miei desideri.
Mi rendo conto che sia una risposta circolare, che non aggiunge molte argomentazioni, ma è così. Da piccolo andavo matto per la serie a fascicoli della Storia Ancestrale, piena di raffigurazioni mostruose e racconti avventurosi. Mi son sempre detto che dovrebbero esserci più libri così, con splendide rappresentazioni grafiche a complemento dei concetti esposti.
A parte il conterraneo Giulio Rincione, non conoscevo nessuno degli artisti coinvolti. Nei mesi precedenti alla stesura del romanzo ho personalmente contattato, valutato e selezionato una quantità enorme di illustratori, provenienti in particolar modo dal mondo del fumetto. La costruzione del team è venuta da sé; solo i più competenti e motivati hanno risposto all’appello.
E: Cosa pensi di come vengono “comunemente” approcciate le patologie della psiche? Credi che in Italia si sia riusciti finalmente ad abbattere i preconcetti e a riconoscere tali disturbi come reali o pensi che ancora non si abbia raggiunto una consapevolezza adeguata?
CC: Negli ultimi anni abbiamo fatto molti passi in avanti nell’ambito della prevenzione, della formazione e dell’orientamento.
Purtroppo la salute psichica è ancora vista, specialmente nelle piccole comunità, come un qualcosa di evanescente o accessorio. Il pubblico non ha difficoltà a comprendere che possano esistere gravi malattie mentali, ma guarda con sospetto i piccoli/ grandi disagi esistenziali che costellano la vita della gente e che possono portare a cercare sostegno.
Per molte persone di questo tipo, andare dallo psicologo segna un vero e proprio fallimento.
E: Sono sempre stata profondamente affascinata dalle tematiche che hai trattato in “Nel sonno della ragione”, soprattutto mi sono sempre chiesta se chi arriva a diventare uno psicologo possa essere “immune” alle patologie che combatte o se possa rischiare di “capitarci dentro” come tutti…cosa puoi dirci in proposito?
CC: Buona parte della nostra preparazione risiede proprio nel costruirci delle difese semipermeabili verso il mondo esterno. Dico “semipermeabili” perché, in qualsiasi processo di sostegno e cura, una parte di interscambio e contatto tra professionista e paziente è necessaria.
La corazza dello psicologo scaturisce da un lungo cammino di autoconsapevolezza dei propri limiti e difetti, che si avvale dell’aiuto di figure di sostegno specializzate.
E: C’è uno dei personaggi che hai descritto nel libro in cui senti di rappresentarti in una qualche maniera?
CC: Rappresentano tutti, in egual misura, qualcosa che fa parte di me. Il mostro “finale”, in particolare.
E: Che consigli ti senti di rivolgere a chi desidera scrivere? E quali invece a chi leggerà presto il tuo libro?
CC: Chi desidera scrivere deve compiere solo due semplici operazioni, nell’ordine e nelle modalità preferite ma sempre in modo copioso:
-Leggere
-Scrivere
Il consiglio che rivolgo a chi leggerà il mio libro è di fermarsi, dopo ogni capitolo, ed entrare nel proprio Mondo Interno, per cercare la creatura che è stata appena visualizzata.
Il mostro che è stato descritto sta bene? Ha qualcosa da dirvi?
Dopodiché, voltare pagina.
Non perdetevi tutte le altre tappe!
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