Buongiorno Amici dei Libri e buon venerdì!
Questa settimana ho tantissime cose da raccontarvi: oggi parliamo di temi importanti e di un autore, giovane ed appassionato, che è emerso gridando a gran voce tutto quello che ha da dire. Ringrazio, come sempre, Libri Mondadori che mi permette di scoprire e leggere bellissimi libri in anteprima, e mi porta spesso a conversare con autori davvero di valore, letterario e umano.
Sorretti da uno stile magistrale, in grado di rendere appieno le sfumature della lingua vissuta e parlata nei vicoli di Rocinha, i racconti del Sole in testa ci narrano storie già conosciute di corruzione e di innocenza, di violenza e di miseria, di colpa e razzismo, di droga e di morte.
«La voce che rompe il silenzio dei favelados» – Il Venerdì
«Seu Matias è nato cieco. Non ha mai visto il mare o le armi o le donne in bikini. Malgrado ciò, vive la sua vita, va dappertutto come se abitasse in un mondo fatto apposta per quelli come lui. Gente che non vede, però ascolta, annusa, tocca, sente e parla. E, nel suo caso, parla molto bene. Il lavoro di Seu Matias è toccare il cuore delle persone sugli autobus.»
Trama: Rocinha è la favela più grande non solo di Rio de Janeiro, ma del mondo. È una baraccopoli gigantesca dentro la quale quotidianamente vivono, amano, lavorano, si picchiano, giocano, sognano e muoiono oltre 70 mila persone. Rocinha è il luogo dove sono ambientati quasi tutti i racconti del Sole in testa. In questi tredici piccoli capolavori – salutati con entusiasmo in tutto il mondo – Geovani Martins ci regala una serie indimenticabile di istantanee, di ritratti che non solo ci fanno entrare nell'universo crudo e spietato della favela – luogo di scontro tra diverse gang e dove la violenza della polizia spesso fa a gara con quella della criminalità – ma nelle menti e nei cuori delle persone, di quei ragazzi e di quegli uomini che quotidianamente cercano di inventarsi un'esistenza. I bagni di mare, l'estasi della droga, il cameratismo e le risate: qualsiasi cosa serve a rendere meno inaccettabile una realtà intrisa di angoscia, paura e disperazione. Questo libro, sospeso tra l'immaginario di Tarantino e la denuncia neorealistica di Pasolini, combina in modo stupefacente il ritmo cinematografico serrato di un Irvine Welsh con la tradizione realistica dei racconti di Jorge Amado. Sorretti da uno stile magistrale, in grado di rendere appieno le sfumature della lingua vissuta e parlata nei vicoli di Rocinha, i racconti del Sole in testa ci narrano storie già conosciute di corruzione e di innocenza, di violenza e di miseria, di colpa e razzismo, di droga e di morte. Storie già lette mille volte. Ma con umorismo, grazia e senza compiacimento, Martins riesce – come solo i grandi scrittori sono capaci di fare – a raccontarcele per la prima volta.
Ho deciso di intitolare così questo post perché, di tantissime cose interessanti e profonde che ho sentito durante l'incontro con Geovani Martins, questa è sicuramente quella che mi ha più colpita: "Il sole in testa" è una raccolta di racconti che analizza indirettamente uno spaccato della società brasiliana che incarna, letteralmente, il concetto di stereotipo. Come ha detto Martin, e come condivido a pieno titolo, se lo stereotipo prende vita è perché una base di verità esiste, il problema nasce nel momento in cui tale presupposto si gonfia, prende sembianze sempre più lontane dalla realtà e condiziona la maggior parte delle persone, convincendole di sapere cose che non sa e, soprattutto, di limitare, ghettizzare un problema riconducendolo solo e unicamente ad un determinato luogo geografico.
Facendo un esempio pratico proprio su noi stessi, qui in Italia come in tanti altri Paesi spesso si è convinti che nelle Favelas si rifugi una parte di mondo sbagliata, marcia, come se chi le abita si fosse auto-relegato in un posto dove poter vivere in maniera sbagliata con una specie di autorizzazione non detta. In questo modo per noi è più facile, no? Ci limitiamo a credere che tutti i problemi che quelle persone gestiscono ogni giorno, la droga, la violenza, siano cose riservate ad un certo tipo di essere umano, non certo a noi o a chi guardiamo con stima e rispetto. Beh, il libro di Martins arriva e dà al lettore uno schiaffone talmente potente da fargli capire quanto e cosa ci sia di sbagliato in questo ragionamento, sempre che si possa definire tale.
Quando è stato il mio turno di chiedere a Geovani quello che desideravo sapere, ho scelto di partire sollevando il tema della paura: ad una prima lettura, magari coinvolta ma non del tutto attenta, si potrebbe pensare che i protagonisti dei tredici racconti siano la droga, la povertà, la violenza quando, in realtà, pensandoci bene, c'è qualcosa di precedente, una sensazione che lega tra loro tutti questi elementi e che permea le storie che vengono raccontate: la paura. Il potere si ottiene sottomettendo, affermando la propria prevalenza, e se pensiamo all'ambito politico in un Paese come il Brasile (ma ce ne sono tanti altri, non crediate mi voglia limitare a questo), ci si palesa l'ovvietà della situazione: le Favelas sono state fondate sulla paura e, ancora oggi, vengono alimentate da questo, purtroppo.
Scoprire, e parlare di quale sia l'obiettivo dell'arte letteraria di Martins è stato interessante quanto importante: ha raccontato di aver seguito la vocazione della scrittura fin da quando era molto piccolo, di averla mantenuta durante la sua crescita fino ad aver realizzato di avere in mano un potente mezzo di comunicazione. Il libro, ci ha detto, arriva a chiunque voglia vederlo, riceverlo, leggerlo; non importa quali studi tu abbia fatto, a quale classe tu appartenga o dove tu sia nato o cresciuto, nel momento in cui decidi di voler recepire il messaggio il libro te lo recapita, senza remora alcuna. Ed è per questo che nel "Sole in testa" si parla espressamente e in maniera estremamente diretta di tutti i problemi che caratterizzano questo spaccato culturale, non prova timore nel chiamare le droghe con il loro nome, nel esprimere i concetti con il proprio linguaggio, anche se non è usuale farlo, in alcuno casi.
Ho avuto modo di chiedere a Geovani (di cui effettivamente non vi ho ancora quantificato la giovane età, 28 anni) quali siano stati i racconti che lo hanno segnato maggiormente in fase di scrittura. Lui è stato così accurato nel rispondermi da fare una distinzione in tre punti: quello più importante, emotivamente, è "Gireto", il primo racconto della raccolta. Il più divertente da realizzare è stato "Roulette Russa", ed è stato bello constatare che è stato anche uno di quelli che ho preferito. Infine, il più complesso a cui dare vita è stato "Spirale", più per questioni tecniche e, soprattutto, di tempistiche. Ho deciso di raccontarvi questo per incitarvi a recuperare il libro, leggerlo e stilare la vostra personale scaletta dei racconti, come abbiamo fatto con l'autore, perché credo che sia un plus valore a cui non si possa ricorrere quando si legge la narrativa normale; la raccolta di racconti ha una struttura unica nel suo genere, che differenzia e caratterizza l'esperienza di lettura in una maniera tutta sua, arricchita dall'apporto personale di ogni lettore.
In conclusione, diffidate da chi vorrà riassumervi questo libro con pochi, e semplici stereotipi: "...è un libro sulle difficoltà, sulla droga e la povertà delle Favelas.".
Ricordatevi invece che questo è un libro che insegna a registrare quali siano i messaggi importanti, e ad annientare gli stereotipi che ci si piazzano sugli occhi fin dai primi anni di vita e ci deconcentrano da quelle che sono le realtà da affrontare davvero.
P.S. mi perdonerete questa caduta in un momento veniale e materialista: quanto può essere curata, evocativa, bella ed emozionante la copertina realizzata per questo libro? Fatemi sapere cosa ne pensate.
Molto interessante.
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