lunedì 23 aprile 2018

"Ho sognato la cioccolata per anni" di Trudi Birger

Buongiorno Amici dei Libri e buon lunedì!

Questa mia giornata è iniziata davvero nel migliore dei modi e non vedo l'ora di fare una bella chiacchierata con voi, a proposito di un libro emozionante e sincero quanto crudo e doloroso.


Ho sognato la cioccolata per anni | Trudi Birger | Piemme (Il Battello a Vapore) | gennaio 2018 | 176 pagine | 12,00€ | Brossura con alette

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«Seguii con gli occhi mia madre che varcava il cancello incamminandosi verso le baracche di legno. Per la prima volta mi ritrovavo da sola. Ma non potevo arrendermi.»

Trudi ha solo sedici anni quando viene deportata con la mamma nel campo di concentramento di Stutthof. Intorno a lei un mondo spietato, assurdo, crudele; dentro di lei il desiderio di non cedere alla disperazione e di continuare a sognare. Questa è la sua storia, raccontata in prima persona: Trudi testimonia le atrocità e le sofferenze dell'Olocausto, ma anche il coraggio e la speranza che le hanno dato la forza di sopravvivere e di non smettere di sognare la libertà.


"Ho sognato la cioccolata per anni" è rimasto fermo nella mia TBR per molto, molto tempo; il desiderio di leggerlo e di scoprire la storia contenuta al suo interno è sempre stato forte ma perennemente accompagnato da una velata sensazione di timore, quasi di soggezione. E' sufficiente leggere poche citazioni di Trudi Birger per capire che la lettura della sua storia non potrà che essere straziante. 

Ringrazio sentitamente Piemme per avermi permesso di leggere il testo in questa meravigliosa nuova veste grafica, spronandomi così ad affrontare finalmente ciò che da sola non ero ancora ad approcciare. 

Pur immaginando con cosa avrei avuto a che fare, avendo letto precedentemente diverse storie incentrate sull'olocausto e sulle sofferenze che una moltitudine inimmaginabile di esseri umani ha dovuto subire, non posso asserire di non aver ricevuto un paio di quei proverbiali "schiaffi" in faccia non appena ho iniziato a leggere le parole della Birger: le narrazioni autobiografiche hanno di per loro, a prescindere dal tema trattato, una potenza inarrestabile che aumenta nel lettore la capacità di empatia.

La scrittura dell'autrice e il linguaggio che ha utilizzato contribuiscono a creare l'atmosfera sopra descritta, liberandosi di eventuali orpelli stilistici in favore del passaggio diretto di informazioni e immagini sotto forma di dati di fatto, lasciando poco all'immaginazione di chi legge, per quanto questa affermazione possa sembrare paradossale. 

Come più di una volta specifica Trudi Birger da entrambi i suoi punti di vista, sia da bambina catturata e sottoposta a torture indicibili che da narratrice della propria vita, nessuno potrà mai capire o anche solo immaginare che cosa si provi a vivere i soprusi e le sofferenze che l'esercito tedesco ha inflitto a milioni di persone innocenti, discriminate e trucidate senza nessuna pietà; il passaggio che più mi ha colpita e profondamente turbata è proprio quello in cui la piccola Trudi analizza razionalmente i comportamenti dei sorveglianti del ghetto, traendo l'unica conclusione plausibile che consiste in un sadismo immotivato di chi prova gusto e, forse, piacere, nel nuocere ai propri simili. 

Alcuni avvenimenti, raccontati fugacemente e che fungono da rapidi passaggi ai fini della narrazione, mi sono risultati inizialmente tanto incredibili da parere improbabili, e ho dovuto rifletterci sopra qualche ora prima di poter realizzare che è successo tutto davvero, che non si tratta di una ricostruzione liberamente tratta da un racconto. 

Posso dire di aver apprezzato ogni sfaccettatura di questa lettura, e desidero consigliarvela con tutto il cuore. 

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