L'inizio di Tempo di Libri si avvicina sempre più e io ho la fortuna di essere immersa in tantissime letture strabilianti, che saranno al centro di alcuni degli incontri organizzati nell'arco della manifestazione; colgo l'occasione per darvi un assaggio di un'altra delle opere che ho scoperto in questi giorni, e che ha fatto pieno centro nel mio cuore.
Come sempre vi ricordo che ho preso spunto da Chiara in Bookland per portare sul blog questa rubrica, ideata da Should be reading. Le regole sono poche e semplici:
- Prendi il libro che stai leggendo
- Aprilo ad una pagina a caso
- Condividi un breve spezzone della pagina, senza fare spoiler!
- Riporta anche titolo e autore
Manhattan, 1969
La prima cosa che vidi di lei fu la caviglia, delicata, nervosa, stretta dal cinturino di un sandalo blu. Non ero mai stato feticista prima di quel giorno di maggio e, se avessi dovuto concentrarmi su una parte dell’anatomia femminile, istintivamente avrei scelto il sedere, l’inguine, il seno o forse il viso, di certo non i piedi. Li notavo soltanto quando erano brutti o trascurati, il che non accadeva molto di frequente. Avevo la fortuna di essere amato da belle donne e mi facevo un punto d’onore di ricambiare le loro attenzioni. Era proprio di questo che stavamo parlando…
«A te le occasioni non mancano mai, caro mio», osservò infastidito Marcus, con il quale stavo pranzando. «Si direbbe che tu voglia piantare la bandiera su ogni satellite femminile di questo sistema solare!» Il mio amico, nonché socio e pessimo dongiovanni, aggiunse: «Basta che tu ti sieda da qualche parte, che ti guardi intorno, beva un paio di bicchieri e voilà! Nel giro di un quarto d’ora ne hai già due che ti ronzano intorno sculettando».
Spalancò gli occhi, fece la boccuccia a cuore, per imitare l’effetto che a quanto pareva producevo sulle ragazze, e proprio in quel momento una delle cameriere, una brunetta timida e grassottella, mi sorrise.
L'ultimo di noi - Adélaide Clermont-Tonnerre
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