lunedì 12 febbraio 2018

Recensione "Quello che rimane" di Paula Fox

Quello che rimane | Paula Fox | Fazi Editore | 2018 | 200 pagine, brossura | 16,50€ 

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«La prima volta che ho letto Quello che rimane me ne sono immediatamente innamorato… mi sembrava assolutamente superiore a qualsiasi romanzo di scrittori come John Updike, Philip Roth e Saul Bellow, contemporanei a Paula Fox. A più di dieci anni di distanza, e dopo averlo letto ormai decine di volte, lo amo ancora di più».
dall’introduzione di Jonathan Franzen

New York, fine anni Sessanta. Otto e Sophie Bentwood sono una tranquilla coppia di mezza età, senza figli e senza più molto da dirsi. Nulla sembra poter scalfire la loro serenità borghese finché, un pomeriggio, l’innocua visita di un gatto randagio increspa le tranquille acque della loro vita.
Contrariamente al parere del marito, Sophie dà del latte al gatto, che la morde procurandole una leggera ferita. Un incidente all’apparenza insignificante, che però innesca una strana reazione a catena: nell’arco di un weekend, mentre la ferita di Sophie si fa sempre più preoccupante, si succedono una serie di fatti spiacevoli e si dipana quella che minuto dopo minuto, pagina dopo pagina, diventerà per i Bentwood una sorta di piccola e misteriosa tragedia, costringendoli a rimettere in discussione non solo il loro matrimonio, ma anche la loro stessa esistenza. Come scrive nell’introduzione Jonathan Franzen, al quale si deve la riscoperta in America del grandissimo talento narrativo e stilistico di Paula Fox, a una prima lettura Quello che rimane è un romanzo di suspense, che però si trasforma in altro a ogni successiva lettura, riuscendo sempre a sorprendere il lettore. A distanza di anni torna un clamoroso caso editoriale, il capolavoro di quella che è stata definita da scrittori come Jonathan Franzen, David Foster Wallace e Jonathan Lethem una delle grandi voci del Novecento americano.

Desidero cominciare ringraziando Fazi Editore, con cui ho recentemente iniziato a collaborare, che mi ha permesso, già durante questo primo approccio, di leggere due romanzi di altissimo calibro e di cui sono stata entusiasta.

Quella di Paula Fox non è un'opera semplice: ho iniziato la lettura di questo libro con tante aspettative, particolarmente alte per via dell'entusiasmo manifestato da Jonathan Franzen che io amo visceralmente, che sono state completamente rivoltate, agitate e scosse come un panno in balìa della centrifuga di una lavatrice. 

La scrittura dell'autrice mi ha inizialmente destabilizzata, creandomi una sorta di confusione alimentata dalla curiosità di mettere a posto le tessere di un puzzle che, sotto i miei occhi, andava via via formandosi. Quella cui mi sono trovata davanti è una storia d'amore e di vita, un frammento del percorso che ognuno di noi affronta, passo dopo passo, il più delle volte in compagnia di un altro essere umano.

Se apparentemente la vita dei protagonisti, un uomo e una donna di mezza età sposati da tempo, può apparire comune e priva di attrattiva per qualcuno, un evento curioso quanto ingannevole scaraventerà l'apparente tranquillità di questa famiglia nel disagio più profondo; penso che quello che succeda altro non sia che la manifestazione di un malessere, già insito nella vita della coppia, che aspettava solo di essere portato alla luce.

In fondo, chi di noi può dire di non essersi mai trovato in una situazione analoga? Spesso la comunicazione finisce per diventare complicata anche tra persone che si conoscono da molto tempo, le difficoltà della vita portano chiunque ad avere momenti di smarrimento o ad essere troppo concentrati su sé stessi, al punto di non rendersi conto di quanto succeda agli altri.

In "Quello che rimane" è racchiusa una potentissima ma sottile critica alla società odierna, così concentrata sulla quotidianità e basata su un pensiero profondamente ego-riferito, capace di schermare lo sguardo di chi si trova davanti alla sofferenza nelle sue più evidenti e molteplici forme; si tende a dare troppa importanza a questioni di infimo conto per poi riversare gran parte delle proprie frustrazioni, pensando forse di impiegare energie, su questioni futili, semplici riempitivi del proprio metaforico vuoto interiore. 

Non credo di essere stata in grado di cogliere tutto ciò di cui parla Franzen nella sua strabiliante prefazione, e penso che sarebbe anomalo il contrario. Quello che porterò sicuramente con me dopo questa esperienza di lettura è il desiderio di fare proprio come ha fatto lui, di leggere e rileggere innumerevoli volte questo testo, all'interno del quale è racchiuso un piccolo squarcio di ognuno di noi. 

Caro lettore, se ti stai chiedendo come mai non ti racconto di più della trama, per quale motivo sono stata così evasiva nel raccontarti di questo romanzo, ti poni una domanda più che lecita, a cui risponderò con sincerità: il libro della Fox non è paragonabile a nessun altro, ci vogliono ore, giorni o probabilmente settimane per digerire lo spaccato che ha deciso di mostrare ai suoi lettori; sarei poco utile, nonché presuntuosa, se mi permettessi di associare a questa trama dei giudizi oggettivi che tali, in realtà, non possono essere. 


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