Oggi vi racconto di un libro unico nel suo genere, nato in un tempo così lontano ma che tratta argomenti così vicini a noi. Ringrazio tantissimo Fazi Editore per avermi permesso di leggerlo.
Una torrida mattina di Pentecoste, immerso nella luce che indora il paesaggio agreste della Russia pre-rivoluzionaria, un giovane vaga assorto nei suoi pensieri. Pëtr Dar’jal’skij, studioso, poeta ed esponente della classe intellettuale che andava formandosi in quegli anni percorsi da vagiti rivoluzionari e profonde metamorfosi sociali, è alla ricerca di una verità su se stesso e sul mondo. Sta trascorrendo l’estate nella tenuta della fidanzata, Katja Gugoleva, nipote della baronessa Todrabe-Graaben, una nobile russa decaduta, quando incontra Matrëna Semënovna, serva dell’ambiguo falegname Mitrij Kudejarov, che lo seduce e lo avvicina alla setta dei colombi, un culto esoterico che attende l’avvento di un nuovo Spirito.
Ed è proprio quest’incontro ad attirarlo fatalmente verso un passato ancestrale, inconsapevole della trappola che è stata ordita alle sue spalle. Lacerato dal dilemma tra un presente che si fa sempre più ermetico e un passato che lo richiama senza tregua a una redenzione, Dar’jal’skij è metafora di una cultura sull’orlo del baratro, consapevole del suo incerto equilibrio, del nero cielo occidentale verso cui volge lo sguardo.
In questo romanzo di contrasti, enigmi e visioni, Andrej Belyj racconta, con un virtuosismo stilistico capace di spaziare da vertici di assoluto lirismo al parlato “aspro” degli ambienti rurali, la metamorfosi di un singolo individuo e di un popolo sotto l’incedere della Storia. Attraverso il contrasto tra la ragione e il sentimento, la scienza illuminata e le credenze popolari, il senso di crisi sociale e la necessità di una rinascita spirituale, Il Colombo d’argento coglie le inquietudini dell’epoca che precede la Rivoluzione d’Ottobre e si erge a brillante paradigma del simbolismo russo, di cui Belyj è stato pioniere.
«L’elemento perturbante del popolo russo ha trovato nel romanzo di Belyj una geniale riproduzione letteraria».
Nikolaj Berdjaev, «Novoe literaturnoe obozrenie»
Ci tengo ad iniziare questa recensione mettendo subito in chiaro che io non ho le competenze né, tanto meno, l'esperienza per giudicare opere che si possano definire classiche, a maggior ragione nate dalla penna di autori che sono nati e cresciuti in Paesi diversi dal mio. Questa precisazione è necessaria non perché io abbia invece qualche particolare competenza sulle opere contemporanee ma, in questo caso specifico, ho affrontato un testo piuttosto complesso della letteratura russa e tutto voglio fare tranne che passare per quella "che ne sa".
Ho trovato non semplice la lettura di questo romanzo principalmente per via del linguaggio che, come è giusto che sia, risulta leggermente ostico per via della sua datazione. "Il colombo d'argento" è un testo scritto e pubblicato durante il primo decennio del novecento e, come è prevedibile, risposta uno stile di scrittura che si adatta all'epoca, costituito da un lessico differente da quello in uso al giorno d'oggi e da costruzioni sintattiche e grammaticali molto ricercate.
Il mio considerare questi dettagli non deve spaventarvi: ho apprezzato molto la lettura, l'ho semplicemente consumata nel doppio del tempo che mi è usuale normalmente. Quello di Belyj, scrittore, poeta, filosofo e critico letterario, è un testo poetico, molto musicale che, a parer mio, ricorda quasi una scrittura teatrale o, per lo meno, io così l'ho visualizzato; non mi è risultato complesso "vedere" con l'immaginazione le ambientazioni descritte dall'autore o le situazioni in cui i personaggi si trovato nell'arco della vicenda.
A fare da sfondo, particolarmente imponente e percepibile, è la suggestiva campagna russa, con i suoi campi. Questa è stata un'ambientazione presente, quasi dotata di vita propria, che ho trovato abbia inciso sensibilmente sia sugli atteggiamenti dei personaggi che sul contesto generale del libro e sulla sua atmosfera. Ahimè non sono mai stata in Russia ma è sempre stata una meta che mi attira molto; ora lo fa ancora di più.
La caratterizzazione dei personaggi è molto precisa e sensibile, dettaglio che ho particolarmente apprezzato poiché, nonostante io non ne conosca il vero motivo, mi aspettavo che tutta l'attenzione sarebbe stata concentrata sul tema principale del romanzo: la setta religiosa.
La Chiesa, infatti, ricopre un ruolo fondamentale all'interno della storia o, più precisamente, lo fanno la fede e la religione degli individui che fanno parte della particolare setta dei Colombi. Quella che viene definita all'inizio del libro come "Al posto di un'introduzione" ci spiega però che, nonostante ci siano delle evidenti somiglianze e dei riferimenti alla più famosa setta russa dei "Chlysty", quella presa in esame dall'autore è un'altra cosa.
Non posso che definire inquietante questa esperienza di lettura, che indaga il profondo dell'animo umano quando subisce un qualche tipo di deviazione, causata dai motivi più disparati, e che finisce per tramutarsi in un accumulo di follia e disperazione, fino a portare il suo possessore al compiere atti indescrivibili. La fascia sociale protagonista della vicenda non è sicuramente collocabile tra le più alte e credo che questo abbia contribuito al senso di inquietudine generale cui accennavo.
Se pensiamo a quanto l'argomento "Chiesa distorta" possa essere attuale di questi tempi, le sensazioni che si finisce a provare sono tutto fuorché gradevoli.
Vi confesso di aver trovato una discreta difficoltà nel parlare di questo libro poiché, seppur io l'abbia molto apprezzato, mi ha fatta abbastanza soffrire e, contemporaneamente, riflettere.
Non è sicuramente una lettura adatta a tutti: la consiglio a chi non ha timore della riflessione profonda, della crudezza di cui può essere capace l'essere umano e a chi apprezzi la scrittura d'altri tempi, molto evocativa.
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