martedì 24 aprile 2018

Teaser Tuseday #42

Buongiorno Amici dei Libri e buon martedì!

Il protagonista della puntata di oggi della nostra solleticante rubrica preferita è edito Fazi Editore, che ringrazio moltissimo per tutti i bei libri che mi permette di leggere, ed è ambientato in una terra che amo e cui sono legata indissolubilmente: la Sicilia. 

Vi ricordo, come sempre, che le regole per riportare il Teaser Tuseday sul proprio blog sono poche e semplici: vi basterà citare il blog da cui l'avete scoperta, nel mio caso Chiara in Bookland, e quello dell'ideatrice Should Be Reading.

E ora:
  • Prendi il libro che stai leggendo
  • Aprilo ad una pagina a caso
  • Riporta un breve spezzone della pagina, senza fare spoiler!
  • Condividi anche titolo e autore

Gli uomini nell’antichità non si spaventavano di niente e di nessuno. Dico sul serio, non lo scrivo tanto per dire.
Romolo raggiunge l’assassino di sua madre e lo squarta come un selvaggio; Achille, dopo che Ettore gli uccide l’ami­co, gli sfonda le caviglie e lo massacra davanti a tutti.
Erano così gli antichi: se sgarravi, t’ammazzavano.
Per non parlare poi di come punivano i traditori. Provavano talmente ribrezzo per i doppiogiochisti che non volevano nemmeno vederli morire; li cucivano dentro i sacchi e li buttavano a mare con una zavorra: l’acqua entrava dappertutto (pure dalle narici, pure dalle orecchie) e gonfiava i polmoni fino a farli scoppiare. Boom! E dei traditori non rimaneva nemmeno l’ombra.
Avevano un grande senso della giustizia, gli antichi: non si spaventavano di niente e di nessuno.
Certo, non è che nelle pagine di mitologia ci sia scritto proprio così; questa è un’espressione colloquiale che io traduco dal dialetto. A Palermo, infatti, quando vogliamo intimorire un nemico, gli diciamo: «Iu un mi scantu di nenti e di nuddu».
È così che la immagino la vendetta di Romolo, lui che si piantona di fronte all’assassino di sua madre e gli fa: «Iu un mi scantu di nenti e di nuddu». E poi, boom! Del traditore neanche l’ombra.
La professoressa Vallone mi dice sempre che la storia (quella con la “s” maiuscola) è diversa, che ci devo dare un taglio con queste fesserie sugli antichi, e soprattutto che la devo smettere di parlarne in dialetto. Ma è più forte di me: da sempre, ogni volta che penso a un episodio di vendetta, me lo immagino in palermitano, e non perché l’italiano io non lo conosca, ma perché quando sento il sangue in testa, è il dialetto che parlo.

Di niente e di nessuno - Dario Levantino

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