Buonasera a tutti voi, che con affetto e trasporto accettate sempre i miei inviti alla lettura.
Questa sera ci incontriamo virtualmente per parlare di un romanzo uscito di recente per Mondadori, che ringrazio per la possibilità di lettura del romanzo.
Leggere gli autori italiani innesca nella mia anima di lettrice un entusiasmo cieco, basato sulla curiosità e sulla voglia di scoprire nuove voci a me vicine, che sappiano raccontare la realtà in cui vivo in modo da farmela conoscere e riconoscere. Quando però le storie narrate sono ambientate in un'epoca differente da quella attuale, hanno una responsabilità in più, quella di raccontare abitudini, avvenimenti e personaggi lontani, permettendo al lettore di entrarci comunque in sintonia. Questo è esattamente ciò che ha fatto Raffaella Romagnolo con "Di luce propria", opera in cui ha deciso di indagare nella storia e nell'animo di un artista realmente esistito, nel periodo storico in cui è vissuto, delineando anche un ritratto sociale di un Paese che è capace di essere così tanto croce quanto delizia, al contempo.
Antonio Casagrande, quando ancora ignorava chi sarebbe diventato, si è scontrato presto con la parte più ruvida e oscura della vita: la sua infanzia è stata costellata di solitudine e disagi fisici, la sua è stata un'esistenza all'insegna dell'abbandono...finché la fortuna non ha deciso di passargli accanto, donandogli una spinta verso la più grande occasione che potesse immaginare. Ho apprezzato molto il modo dell'autrice di creare un parallelismo tra la vita del protagonista e quella dell'Italia, quasi come se fossero entrambi personaggi attivi e cooperanti del romanzo: mentre Antonio approccia il mondo della politica, della storia e si affaccia sul mondo della fotografia, l'Italia compie gli importanti passi che la porteranno alla grande unificazione.
La profonda umanità che traspare dalle parole scritte della Romagnolo si percepisce per tutto l'arco della lettura, e comincia a palesarsi proprio quando viene fatto presente che, forse, potrebbe non essere così assurdo che un ragazzino che non vede da un occhio abbia l'incredibile capacità di guardare oltre, la stessa capacità che lo porterà a diventare un grande artista. Questa riflessione mi ha portata poi a pensare, come penso fosse voluto, a come e a quanto possano cambiare le percezioni nell'arco degli anni, con il susseguirsi delle epoche storiche: come identifichiamo oggi la fotografia? Il valore che viene attribuito a questa forma d'arte è il medesimo, si è modificato?
Io non sono sufficientemente informata sull'argomento, per quanto mi affascini molto sin da bambina non conosco la sua storia o quella di coloro che l'hanno praticata per tutta la vita, ma la fotografia è sicuramente la terza grande protagonista del romanzo, così impercettibile a volte ma detentrice di un potere inimmaginabile.
Di un grande potere è dotata senza dubbio anche l'autrice, che è stata capace di realizzare un'opera che mi sento di definire inappellabile dal punto di vista tecnico, come da quello emotivo (sempre che si possa esprimere un parere oggettivo sulle emozioni...): lo stile di scrittura che vi accompagnerà alla scoperta di questa meravigliosa storia è traboccante di sapere, colto e raffinato, senza però risultare mai eccessivo, mai ridondante e, per di più, riesce perfettamente nell'intento principe di tutti coloro che mischiano fiction e storie vere: permette al lettore di perdersi.
Per quanto possa rendermi conto di aver appena concluso una delle mie recensioni trainate dal mood filosofico che, ogni tanto, si impossessa di me, spero davvero vogliate dare un'opportunità a questa splendida autrice italiana e a ciò che ha desiderato raccontarci, sono sicura che non ve ne pentirete.
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