La meraviglia del legame che si crea con le storie e con chi le scrive
Quella di oggi è per me una recensione molto speciale: nel giorno della sua uscita, parliamo di un romanzo toccante e ben scritto, che ho avuto l'opportunità di leggere in anteprima grazie al suo autore, che non so come ringraziare.
Uno sguardo profondo sulle nostre solitudini, su come il male può piegarci ma anche risvegliare le forze che ci trasformano.
Leo ha sei anni. È nato sordo, ma la sua infanzia scorre serenamente. Con la sua famiglia, Leo parla la Lingua dei Segni, e quella degli affetti, che assumono forme inesplorate nei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna. Ma è giunto il tempo della scuola e Leo viene mandato lontano da casa, a Milano, in un istituto che accoglie bambini come lui. Siamo ai tempi in cui nelle scuole è vietato usare la Lingua dei Segni. All'improvviso per Leo la vita diventa incomprensibile, dentro un silenzio ancora più grande di quello che ha vissuto fino a quel momento.
Poi, in una notte d'inverno del 1964, Leo scompare. A nulla servono le ricerche della polizia: di Leo non si ha più notizia. Diciannove anni dopo, nello studio della sorella Anna, si presenta Michele, un compagno di Leo ai tempi della scuola. E inizia a raccontare la sua storia, partendo da quella notte d'inverno.Ho incontrato per la prima volta Stefano Corbetta in occasione dell'uscita del suo precedente romanzo, "Sonno bianco", di cui trovate qui la mia recensione. Già da allora, ancora prima di poterlo conoscere di persona, ho avvertito quella sensazione che si fa strada nella mente di un lettore, e gli sussurra che dietro ad una storia come questa deve necessariamente celarsi una persona di spessore. Inizio con questo presupposto per fare subito luce sull'importanza della passione e dell'amore che si impiegano nel proprio lavoro, poiché credo faccia una grande differenza a livello di impatto sul lettore.
Corbetta ha uno stile di scrittura molto chiaro e asciutto, che ha la capacità di parlare in modo molto diretto con chi legge, coinvolgendolo nella storia in un modo molto personale e rendendolo, in qualche modo, spettatore dei fatti mentre si svolgono. Se già leggendo il precedente romanzo avevo provato queste sensazioni, entrando particolarmente in empatia con i personaggi, questa volta il processo si è riconfermato, più forte di prima. Mi sento di paragonarne la prosa a quella di John Steinbeck, poiché durante la lettura mi è capitato spesso di volare con la mente a quel tipo di esperienza.
Avvicinandoci allo svolgimento vero e proprio della vicenda, posso tranquillamente dire di avere apprezzato ogni elemento che sono riuscita a percepire, a partire dall'idea di base che ho trovato acuta e originale, passando per l'evoluzione della protagonista, arrivando infine alla risoluzione dell'intera storia, trattata con tali delicatezza e rispetto da far restare in punta di piedi anche me.
Come avrete potuto apprendere dalla sinossi, "La forma del silenzio" tocca svariati temi ed è difficile inquadrarlo con precisione all'interno di un solo genere letterario (sempre ammesso che si desideri o necessiti farlo); la sua forza sta proprio nell'essere tutto quello che potremmo desiderare da un romanzo: ci sono la dura realtà che si deve affrontare davanti alle difficoltà e la forza che serve per farlo, ci sono la crescita e l'evoluzione personale, le reazioni di fronte ad una grossa perdita e i diversi modi di fronteggiarla. Il tutto è accompagnato da un velo di mistero, che viene rimosso lentamente, pagina dopo pagina, rivelando con il contagocce una verità che fino all'ultimo non siamo sicuri di poter accettare.
Si percepisce il lavoro di approfondimento svolto prima della stesura definitiva del romanzo, ed emerge in maniera molto evidente soprattutto dalla bocca del personaggio principale, Anna, che ci introduce nel mondo della sordità e del linguaggio dei segni rendendoci partecipi della sua vita e del dolore che la ha portata a sceglierla.
Ho divorato questa uova storia di Stefano Corbetta con la voracità che si riserva agli autori del cuore che, come tali, diventano sinonimo di felicità non appena ci si ritrova con un loro libro in mano.
A questo punto mi trovo in quella tipica situazione di imbarazzo in cui mi sento di dover bilanciare il mio entusiasmo con una nota dolente che, sappiate, ha comunque un'entità molto ridotta: circa a metà dello svolgimento dei fatti ho avuto una sensazione che poi si è rivelata esatta. Perché annovero questo dettaglio come unica "pecca"? Perché non mi è venuto in mente proprio nient'altro...quando si resta così soddisfatti non ci si possono certo inventare le critiche.
Credo che a questo punto non vi resti che dirigervi alla libreria più vicina per acquistare "La forma del silenzio" e, per completezza, anche una copia di "Sonno bianco", che avrà sempre un posticino speciale per me, tra i libri da ricordare e portare con me.
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